Un’intera vita da Partigiano

 

tratto da dieci e venticinque 27/04/2012

di Sara Spartà

Cosa vuol dire essere stati partigiani. Cosa vuol dire esserlo ancora.
Per anni ho provato amore per molte pagine scritte, testimonianze rese, attinto da pagine ingiallite fino a strapparne fuori l’anima ciò che restava della Liberazione. Degli uomini. Delle loro vite. Non è facile riuscire a capire fino in fondo cosa sia stata la Resistenza quando per collocazione geografica hai avuto una storia un po’ diversa. “U sbarcu re ‘miricani in Sicilia” questa è la storia che voci sfiorite mi hanno sempre narrato.

Monte Sole 25 Aprile 2012. Oggi è qui, per me, la festa della Liberazione.
Una montagna scoscesa e vivida, un profumo di terra bagnata fitto e intenso. Questo percorso costa fatica ma lo si fa travolti dai pensieri. Si ripercorrono sentieri già percorsi, strade già spianate, vette già conquistate. Fronde che nascondono un cielo che oggi è di un azzurro disarmante e pesante da affrontare.
Monte Sole è anche tripudio di colori e di gente, di musiche, di danze e di cori. Monte Sole è vino rosso, sorrisi, pure qualche insulto. Oggi è Don Andrea Gallo e Maurizio Landini. Oggi Monte Sole sono i lavoratori, i giovani, i bambini. Tutti qui su questa distesa immensa di prati e di storia.

Per anni ho letto di questi boschi, del sangue sparso, dell’amore per un’unica fede, della forza e della sofferenza, dell’odio e della violenza. Dell’innocenza rubata, delle speranze falciate, degli affetti stroncati. Non è facile capire fino in fondo cosa sia stata una guerra, perché non ne abbiamo mai vissuta una.
Non è stato facile neppure quando ho ascoltato il racconto di Franco Fontana, partigiano, Brigata Stella Rossa, aveva 15 anni quando fece questa scelta. La scelta di diventare una Staffetta Partigiana proprio nel periodo in cui l’oppressione nazifascista si faceva più temibile e crudele.
Lo scorgo seduto su di una sedia, attorniato da molti ragazzi che lo ascoltano assorti in silenzio, lui gesticola animatamente e spiega con grazia da tutto il pomeriggio. Racconta la sua storia e quella di molti come lui. Ho visto occhi che portavano ancora cicatrici profonde, di una famiglia intera perduta tra questi boschi, tra le mine e tra i pianti di un suolo ingrato. Oggi Monte Sole è Franco, Riccardo, Sofia. Oggi è testimonianza e gratitudine e rabbia. Oggi Monte Sole è Staffetta Partigiana che passa il “tesimone”, lo passa a chi viene dopo di lui, lo passa a noi tutti. Noi che oggi confondiamo la parola partigiano con comunista. Chi ha fatto veramente le storia, che ignoriamo, cantando però “Bella Ciao.”

Franco mi guarda e mi dice “Ma come è possibile oggi essere fascista? 55 milioni di morti e 5 anni di guerra.” Si ferma e mi fissa. Inizia con amara consapevolezza a parlare degli anni di silenzio prima del Processo di La Spezia, del tempo sprecato, di chi ha dimenticato la storia, di come siano svaniti i sogni, di come in fondo il mondo che sognavano non si è mai realizzato. “Cosa ne sanno loro di cosa sia la guerra. Cosa ne sanno di aver visto con i proprio occhi soldati tedeschi uccidere donne e bambini e poi vedere strappare via i feti alle donne,perché non contenti.” C’è crudeltà nei fatti ricordati. Il massacro alla Chiesa di Casaglia, dove i tedeschi hanno ucciso tutti, tra le suppliche del parroco i lamenti di innocenti.
Avevo scordato che la guerra ha anche un suono. Boati, mitragliatrici, bombe, esplosioni, urla, preghiere. Vedere il massacro, esserci dentro, sentire l’odore del sangue, dover scavare fossi per seppellire lo strazio. Per seppellire la vergogna.
“Non c’è notte che non mi svegli e mi ritrovi con la mente tra questi monti a rivivere quei giorni fatti di dolore ma anche di speranza per un futuro migliore”.
Franco ha perso i genitori e due fratelli dopo la guerra. A guerra finita. Perché non fu quel 25 Aprile a farla cessare. Perché per costruire bisogna prima ripulire i terreni dalle mine, ripulire gli animi dalla voglia di vendetta, ripulire le coscienze dal pregiudizio o un da una certa voglia di revisionismo. Altrimenti nessuna guerra è veramente finita.

Mio nonno al cellulare la mattina mi aveva detto: “Vai Sara, vai a portare un fiore anche da parte mia su quei monti”. È stata una frase inaspettata. Bella. Una di quelle che un po’ ti cambiano la giornata ma non solo. Ho sentito un importanza speciale nel mio gesto, a cui prima non avevo pensato. Ho sentito come una specie di fratellanza impercettibile e silenziosa nei sentimenti di due uomini che vivono in parti opposte d’Italia. Una riconoscenza e una gratitudine puerile, semplice, vera.
Che forse è vero noi non saremo mai in grado di capire davvero.

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