commemorazione di Salvatore Novembre ad Agira

All’alba dell’ 8 giugno del 1960 Salvatore era partito con la corriera da Agira, per Catania, dove svolgeva il suo lavoro di operaio edile. Appena ventenne. Gli sorrideva la vita. Sperava di certo in un dolce e migliore avvenire, assieme alla sua giovane moglie sedicenne, sposata appena quarantacinque giorni prima.

Lavoro, diritti e democrazia. Questo “ trittico”, fondante della Costituzione italiana, tenacemente lo accompagnò, assieme a migliaia di lavoratori, cittadini e giovani, lungo tutto il “percorso” della manifestazione che si svolse a Catania in quel fatidico 8 luglio, contro la pretesa imposta dal governo democristiano retto da Tambroni di governare con il sostegno dei fascisti dell’MSI, a soli 15 anni dalla Liberazione.

La sua voglia di riscatto e di difensore dei sacri valori costituzionali fu fermata da un proiettile. Uno dei tanti sparati in quella calda serata dalle forze di polizia. Rimase agonizzante sul selciato di piazza Stesicoro per circa un’ora, con gli occhi aperti, prima di spirare. Povero figlio, se soccorso in tempo si poteva forse salvare.

Salvatore aveva imparato a lottare – ….quante storie di rivendicazioni e di riscatto sociale aveva sentito rievocare nel paese – dagli zolfatari, i quali quando occupavano la miniera, il famoso Zimbalaio, per disperazione, fame e contro l’atroce sfruttamento, restavano più di un mese sottoterra.

Un altro figlio di questa sventurata ed oppressa isola, come i tanti altri uccisi, che dal 45 si battevano contro il potere mafioso e padronale dei latifondisti, aveva immolato la sua vita in difesa della Costituzione. Sì, quella, che come affermò Calamandrei, era “nata nelle montagne dove caddero i partigiani….”, sconfiggendo il nazifascismo.

La commemorazione svoltasi giorno 15 luglio presso l’aula consiliare del comune di Agira, promossa dalla struttura regionale della Federazione della Sinistra, è stata densa di emozioni e di commoventi ricordi.

Tra i tanti presenti, il catanese Nicola Musumarra, ferito gravemente da un proiettile in quella drammatica giornata ( autore del libro –giugno 2010- “1960 fermammo Tambroni. 2010 fermeremo Berlusconi”), Arturo Giunta, giovane presidente dell’Anpi di Enna, Luca Cangeni, segretario regionale del Prc, Domenico Stimolo della segreteria dell’Anpi di Catania.

Un particolare ringraziamento è stato rivolto al sindaco di Agira ing. Gaetano Giunta e al Presidente del Consiglio Comunale Luigi Manno che hanno attivamente partecipato alla commemorazione, esprimendo viva condivisione degli ideali e dei moventi sociali e politici che avevano caratterizzato la vita di questo generoso e giovane figlio di Agira.

Un atteggiamento democratico, questo, che giganteggia sul comportamento assunto alcuni giorni prima ( 8 luglio) dal sindaco di Catania Stancanelli che non ha partecipato alla cerimonia commemorativa in piazza Stesicoro a Catania, promossa da Cgil e Anpi, e per ultimo ha rifiutato, diversamente da ciò che precedentemente era stato convenuto con la Cgil, la collocazione di una targa commemorativa nella piazza.

Alla fine del suo intervento, Arturo Giunta, presidente dell’Anpi di Enna, ha proposto al sindaco l’intitolazione di una strada al giovane martire. Il sindaco Gaetano Giunta si è formalmente impegnato con la platea dei partecipanti.

ANPI Catania

 

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1 Maggio a Portella della Ginestra

Anche la sede di Enna dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) sarà presente a Portella delle Ginestre il Primo Maggio 2010. “L’appello per la manifestazione è firmato da tante personalità della cultura e dell’impegno civile – sottolinea Arturo Giunta, segretario della sezione ennese dell’ANPI – e, pertanto, invitiamo i cittadini a partecipare alla giornata di memoria e di mobilitazione”.
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Giacomo Lisacchi di Villapriolo, bersagliere VIII° Reggimento ciclisti

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Villarosa. Il sacrificio dei suoi figli migliori, degli ultimi soldati del Re, l’Italia il 25 aprile lo ha sempre ignorato. Nessuno ha mai voluto ricordare nel giorno della Festa della liberazione, come lo stesso giorno dell’8 settembre 1943 quando Badoglio fu costretto ad annunciare l’entrata in vigore dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati anglo-americani, firmato a Cassibile, ci fu l’eroica decisione di molti militari italiani di non arrendersi e di combattere i nazisti. E tutto ciò mentre il Re, dopo un drammatico consiglio della Corona, abbandonò Roma insieme a tutta la famiglia reale ed allo Stato Maggiore delle Forze Armate, lasciando i comandi militari privi di ordini. I fuggiaschi attraversarono la Tiburtina fino alla costa adriatica, si imbarcarono nella sera del 9 settembre del 1943 ad Ortona sulla corvetta “Baionetta”, facendo rotta verso Brindisi, dove giunsero nel pomeriggio del 10. La stessa sera, il generale Mario Roatta, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, che avrebbe dovuto fermarsi a Roma per provvedere alla difesa della capitale, emanò da Brindisi, a quel che rimaneva dell’esercito italiano, il tardivo ordine di opporsi ai tedeschi. Questi avvenimenti, ormai noti ed accertati, a quell’epoca non erano ovviamente conosciuti dai comandi militari periferici: ognuno agì quindi secondo la propria etica di uomo e di soldato. Questi fatti ci consentono, nell’imminenza del 25 Aprile, di ricordare un valoroso soldato della nostra provincia, Giacomo Lisacchi, che scelse, assieme a tanti altri militari, la via difficile dell’onore e del sacrificio per difendere l’Italia da un nemico spietato. A Giacomo Lisacchi di Villapriolo, bersagliere dell’VIII° Reggimento ciclisti, venne conferita una medaglia d’argento al valor milatare con la seguente motivazione: ‘In servizio O.P. fuori caserma a Rovereto, nella notte dell’8 al 9 settetembre 1943, in seguito all’intimazione di resa e di cessioni delle armi da parte di un forte nucleo di soldati tedeschi armati di parabellum, reagiva prontamente con le armi, trovando eroica morte nella inadeguata lotta. Magnifico esempio di abnegazione, senso del dovere e sprezzo del pericolo.-Rovereto S.Ilario 8-9 Settembre 1943’. Eppure, il sacrificio di questo giovane eroe villapriolese, a tutt’oggi non ha trovato memoria nel comune di Villarosa. Le sue spoglie, rientrate per volere della famiglia nel 1962 da Rovereto, oggi riposano nel piccolo cimitero di Villapriolo dove visse con i genitori, una sorella (Teresa) e due fratelli anch’essi provati gravemente dalla guerra: Pietro perse entrambi gli occhi e Francesco fu gravemente ferito in una gamba”.

Un frammento di racconto di quello che avvenne a Rovereto nella notte dell’8/9 settembre 1943, quando eroicamente perse la vita il giovane villapriolese Giacomo Lisacchi, medaglia d’argento al valor militare.

NOTTE D’INFERNO. Tratto da “La Bolgia dei vivi” di: Nino Agenore Bertagna
Uno fra i momenti che mi hanno fatto fremere di paura fu la notte che doveva essere quella della fine delle ostilità in Italia. Notte di terrore, in quanto non avevo ancora conosciuto la tragedia della lotta e del sangue. Ero, in quella notte, in servizio di Ronda al Comando di Presidio di Rovereto con pochi altri compagni e il mio secondo turno andava alla mezzanotte. Non sapevo cosa fosse, ma uno strano presentimento era in me e in noi tutti e con tale fissazione mi coricai dopo il primo turno. Ad un tratto, non seppi da quanto tempo mi ero assopito, una scarica di arma da fuoco mi fece sobbalzare nella branda. Nella palestra dove alloggiavamo, ci guardammo stupiti e ansiosi per lo strano colpo sparato, quando un compagno, di servizio, in quel turno, entrò barcollando ed appoggiandosi alle pareti, trattenendosi in uno sforzo di dolore dei gemiti. Tre pallottole gli erano state conficcate nelle gambe e nel piede sinistro. Lo stendemmo sopra un giaciglio strappandogli di dosso i pantaloni e le scarpe, quindi lo fasciammo alla meglio, mentre fra un gemito e l’altro ci invitava a dileguarci nella notte onde sottrarci alla caccia intrapresa ai nostri danni dal tedesco. Inconsapevoli di questo nuovo fatto, volemmo sapere più chiaramente quanto stava succedendo, e sapemmo allora che pattuglie tedesche erano sguinzagliate ovunque per la cattura di noi soldati italiani. Un rauco vociare cavernoso ci fece fremere in quel momento. -Andate!- ci disse ancora una volta il ferito, -e occultatevi ove meglio potete!- E così, prese armi e munizioni in nostra dotazione, scendemmo nel giardino sito all’interno del fabbricato, ove folte siepi sembravano attenderci. Quindi scavalcammo alla chetichella un recinto metallico, ed entrati nel giardino di una Scuola limitrofa, tentammo di guadagnare la strada che porta alla stazione. Ma troppo tardi! Ovunque echeggiava sinistramente l’Halt! Mentre fischi e spari rompevano il silenzio della notte. Dalla palestra intanto i tedeschi avevano indovinato le nostre mosse e ci sparavano addosso come forsennati, Per fortuna la direzione di mira non era esatta, e così nessuno di noi subì conseguenza alcuna. Poi la pattuglia, non udendo rumore alcuno e forse perché temeva un’imboscata, cessò il fuoco, lasciandoci colà tra le fitte siepi. Con il cuore in tumulto, ci sparpagliammo sotto i sempreverdi, nell’attesa degli eventi che si giudicavano abbastanza seri e incerti. L’attesa fu straziante: palle fischiavano in tutte le direzioni, grida salivano al cielo. Come un turbine vertiginoso passavano nella mia visione sconvolta figure e presentimenti strani, tutto balenava in me convulsamente, privandomi della padronanza dei miei pensieri. Passò così diverso tempo che non seppi controllare, quando una secca detonazione squarciò l’aere nella fresca notte. Un nuovo sobbalzo, un nuovo fremito. Era quello il cannone dei Panzer delle SS? Ma perché? Cosa stava accadendo? Come risposta vidi tra la folta vegetazione che mi occultava, un razzo rosso sfrecciare nell’oscuro velo dell’orizzonte. Subito dopo un altro ancora, e poi altri saettarono in varie direzioni. Uno cadde intorno al Comando di Presidio ove noi eravamo. L’ordine di fuoco fu così dato e in breve tempo un carosello infernale di fuoco e detonazioni investì il centro di Rovereto. Mitraglie, carabine e cannoni sgranavano i loro rabbiosi rosari di morte, rendendo sempre più indiavolata quell’atmosfera. Mi tappai le orecchie e gli occhi cercando di isolarmi con i sensi dal luogo d’inferno, ma era inutile e comprensibile estraniarmi dalla realtà. Nemmeno la preghiera o il richiamo a visioni care potevano far tanto. Da tutto quell’infernale baccano potei trarre una sola conclusione: i soldati italiani di stanza nella città intendevano vendere cara la loro pelle! Il tempo passava con lentezza esasperante e sembrava pesare sul capo come un’enorme cappa di piombo. Le tenebre rendevano agognate le luci del giorno e la fine di quella sparatoria. L’aspetto più terreo sembrava impresso in tutto ciò che a malapena potevo scorgere d’attorno. Il mio cuore batteva con rapidità centuplicata, la mia testa sembrava di fuoco, il ragionamento mancava. D’un tratto un’alta fiammata salì al cielo rischiarandolo sinistramente. Poi una densa cortina di fumo fece seguito al chiarore del fuoco, finché tutto si smorzò gradatamente: gli spari, il fuoco, le fiamme dell’incendio. Mentre nel cielo il riflesso del braciere quasi spento, tingeva d’una rossastra luce morente la volta celeste, trovai un momento di assopimento pel mio essere contratto dalla tensione nervosa. La tempesta era cessata e le prime luci del giorno tingevano d’un chiarore vitreo e incerto le tenebre dell’infausta notte.
TUTTI PRIGIONIERI! Un improvviso vociare mi fece destare dall’assopimento che mi aveva colto. Erano i soldati delle SS (Battaglioni d’assalto) tedesche in rastrellamento che venivano a prelevarci, sapendoci colà dalla sera prima. Nascondemmo armi e munizioni sotto le siepi che ci occultavano e ubbidendo all’imperioso: “Heraus, hier!” (uscite fuori) intimatoci col mitra spianato, uscimmo e raccolti i nostri bagagli in palestra fummo condotti al campo sportivo della città, che nel frattempo funzionava da campo di concentramento per i soldati italiani. La giornata settembrina prometteva caldo come era di consueto in quel periodo e il sole di una forza primaverile saliva lento nell’arco del cielo. Una vaga sensazione di amarezza empiva il mio cuore: Prigioniero! Ma cosa era accaduto mai così repentinamente da capovolgere le sorti senza essercene nemmeno accorti? Questo il primo interrogativo a non trovare risposta in noi. Avevamo appena preso posto sul prato del campo, che tutto il 132° Artiglieria, composto di nuove reclute, molte ancora in abiti borghesi, faceva il suo ingresso. Li seguirono i pochi anziani del 2° Artiglieria Alpina, i Bersaglieri del mio Battaglione, seguiti dagli altri due Battaglioni del Reggimento, tutti di stanza a Rovereto. Così tutta la massa dei soldati italiani, da quel momento, cominciò a salire l’erta china del Calvario. La popolazione tutta dopo la brutta nottata s’era ridestata con l’amara sorpresa di vedere i suoi soldati prigionieri delle SS tedesche, e le Caserme vuotate e sfasciate o ridotti in bracieri ancora ardenti. E con ansia e la preoccupazione che la distingueva accorreva a noi, attorno al cinto metallico, sfidando la brutalità del tedesco, per conoscere le nostre sorti e quanto successe. Veramente encomiabile la premura della gente roveretana, per l’assistenza, per quanto fosse stato loro possibile, per i nostri bisogni morali e materiali. Pur non sottilizzando in particolari, dirò che il cuore di Rovereto rimarrà impresso in me, finché rimarranno vive nel mio pensiero quelle giornate. Era allora il 9 Settembre 1943, il giorno si può dire in cui cadde sul capo dell’Internato comune il tradimento più bruto degli uomini! Si: perché l’Internato fu tradito da tutti! Fu giocato sui suoi sentimenti, fu mandato al massacro in una guerra in cui non si era preparati, e voluta dalla follia di folli e per una follia a cui pochissimi osarono reagire. Contadino, operaio, artigiano, il soldato italiano obbedì sempre ciecamente, credendo in qualcosa di essenziale, di umano, di leale. Ma alla fine si trovò con la più spietata delle delusioni: nessuna vittoria, nessuna ricompensa, ma solo il martirio del corpo e dello spirito. Quale dramma più grande può essere ricordato se non quello dell’Internato italiano?……
LA RESA DELLA MAFFEI. In un ex magazzino a nord della città chiamato Maffei, risiedeva la Compagnia Autonoma Specialisti Radio dell’8° Reggimento Bersaglieri, alla quale io pure appartenevo. Ciò che successe quella notte alla Maffei, potei saperlo il giorno della resa dai compagni d’arma che hanno vissuto quelle ore. Il corpo di guardia era già rinforzato dalla sera innanzi.Pure in Caserma ognuno era pronto agli eventi che ancor si presentavano confusi. Poco dopo la mezzanotte la Sentinella avvertiva dei rumori all’esterno. Prontamente appostandosi poté avvertire dei passi che si dirigevano all’ingresso e la risolutezza nel voler entrare poi. Intimato l’alt parecchie volte e notando l’insistenza all’esterno imbracciò il moschetto. Una raffica di MaschinePistole, (il mitra tedesco) stese al suolo il malcapitato di servizio. In un attimo l’allarme fu dato, e ognuno si trovò al proprio posto, in attesa di un ordine. Il Capoposto volle nel frattempo rispondere con il fucile mitragliatore che avevamo in dotazione, ma al secondo colpo l’arma si inceppò, costringendo il difensore a internarsi. La pattuglia tedesca vista la risolutezza da parte dei Bersaglieri a non aprire fece entrare in azione i Panzer, i quali con i loro cannoni cominciarono a vomitare fiamme e proiettili scassinando l’ingresso. Di buono i compagni della Maffei avevano il favore della posizione, il che permise al loro coraggio di mettersi in evidenza. Infatti la Caserma era inaccessibile sul retro, in quanto tallonata dalla collina, che si ergeva ripida, mentre tutto intorno era circondata da abitazioni, unica via d’accesso alla Maffei era un sottopassaggio costruito nel palazzo di centro. Comunque alla rabbiosa sparatoria dei Panzer, ne seguì una violenta reazione dei Bersaglieri i quali non intendevano cedere tanto facilmente la posizione, e manco meno la loro pelle. Così la lotta si inaspriva sempre più: i carri armati sull’ingresso vomitavano fuoco all’interno e i compagni d’armi a rispondere dalla Caserma e dalla collina su cui si erano appostati dalla sera prima. Ne seguì un rovinio generale della Caserma in particolare modo e delle abitazioni circostanti. Ma malgrado ciò nessun uomo delle SS si azzardò a uscire dal proprio Panzer per chiedere la resa ai Bersaglieri. Era ciò un sottoporsi al facilissimo bersaglio dei difensori. Così decisero di cessare il fuoco e di fare buona guardia all’ingresso nell’attesa dell’indomani. Purtroppo la disperata difesa di quel gruppo di giovani, non valse a nulla: al mattino seguente un Maggiore dei Bersaglieri seguito da una pattuglia di SS, entrò con bandiera bianca per chiedere la resa per conto dei tedeschi, ai cento ragazzi che nella notte avevano fermato i Panzer e fatti acquietare. Così tutti inquadrati, zaino in spalla, disarmati, ci raggiunsero al campo sportivo ove noi già stavamo da qualche ora. A S. Ilario, più a nord, c’era il nostro V° Battaglione: da un Panzer scesero tre uomini per chiedere la resa alla nostra ronda che vigilava nei dintorni. Diversamente accadde uno scambio di raffiche da entrambe le parti, che lasciarono stesi a terra privi di vita, un tedesco subito, due dei nostri poi…..

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25 Aprile a Enna e Piazza Armerina Iniziative in memoria di Salvatore Principato

ANPI ENNA 2010

Si sono svolte il 25 e 26 aprile ad Enna a Piazza Armerina le celebrazioni per il 65° anniversario della Liberazione. Il 25 aprile ad Enna come di consueto i militanti dell’ANPI hanno depositato una corona di fiori sulla tomba di Pompeo Colajanni “Comandante Barbato”. Sempre il 25 aprile si è aperta presso lo spazio espositivo “Monte Prestami” a Piazza Armerina alla presenza del sindaco di Piazza Armerina Carmelo Nigrelli, del Presidente provinciale dell’ANPI di Enna Arturo Giunta e del professor Massimo Castoldi, nipote del partigiano Salvatore Principato la mostra documentaria “Salvatore Principato, maestro antifascista”. Salvatore Principato, nato a Piazza Armerina nel 1892 poi trasferitosi a Milano, di professione maestro elementare, appartenente al gruppo “Giustizia e Libertà” fu uno dei quindici antifascisti fucilati a piazzale Loreto a Milano il 10 Agosto 1944. La mostra patrocinata dal comune di Piazza Armerina e dall’ANPI e curata dallo stesso professor Castoldi e da Ludovica Holz ripercorre la vita di questo antifascista – per anni dimenticato e non sufficientemente valorizzato dalla propria comunità – dagli anni giovanili, passando per l’esperienza dura del Primo Conflitto Mondiale, fino alla sua attività di educatore libero (e per questo osteggiato duramente dal regime che gli farà patire mesi di detenzione per possesso di materiale antifascista) e di militante di “Giustizia e Libertà”, organizzazione di cui era uno dei referenti milanesi e per la quale si dedicava alla stampa clandestina. Sempre nella giornata del 25 aprile a Piazza Armerina nella via dedicata a questo martire è avvenuta la scopertura della nuova lapide, a suggello della rinnovata attenzione che la comunità armerina ha manifestato nei confronti di questo partigiano e nei confronti del valore rappresentato dall’antifascismo. Le celebrazioni armerine sono proseguite nella giornata di lunedì 26 aprile, in mattinata infatti presso l’auditorium dell’Istituto di Istruzione Superiore “Gen. A.Cascino” si è tenuta la Conferenza-dibattito “Salvatore Principato, un partigiano piazzese morto per la libertà” alla quale hanno partecipato Massimo Castoldi, il Preside dell’Istituto professor Giuseppe Russo ed il Presidente dell’ANPI-Enna Giunta. Il professor Castoldi ha ripercorso con ricchezza di dati e viva partecipazione la storia del proprio nonno e quali sentimenti sin da giovane hanno caratterizzato la vita di questo illustre armerino, animato da sentimenti solidaristici e da ideali di giustizia che lo condussero fino alla barbarie della tortura e della fucilazione. Il Preside Russo si è soffermato sulla importanza della memoria della Resistenza e sulla necessità di far propria quella memoria e di far vivere quei sentimenti, quelle idealità, quell’incontro tra culture diverse che ebbe come risultato la nostra Costituzione, la quale va difesa da tentativi di stravolgimenti, snaturamenti che potrebbero incorre anche qualora ne si modifichi la seconda parte. Arturo Giunta brevemente illustrato storia e finalità dell’ANPI, appellandosi ai giovani affinché mantengano vivi i valori della Resistenza, dell’antifascismo, della Repubblica democratica e parlamentare. Una conferenza dunque importante, che, insieme alla mostra, ha avuto il merito di far conoscere a molti suoi concittadini, in particolar modo giovani, la figura di questo illustre antifascista. Un riconoscimento importante per l’ANPI di Enna che sempre più con le sue iniziative sta acquisendo un ruolo importante nella vita civile della provincia contribuendo non solo a perpetrare la memoria della Guerra di Liberazione Nazionale e di quanti in quel conflitto perirono e soffersero per mano nazifascista, ma una associazione sempre più impegnata a radicare nel proprio territorio i valori della Resistenza.

 

Roberto Capizzi

Patria Indipendente 6/2010

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L’Antifascista Principato ricordato in una mostra


tratto da il “Giornale di Sicilia”

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