Venerdì 12 aprile alle ore 10 l’Archivio di Stato di Enna, in via Tranchida c.da S.Lucia, in collaborazione con l’ANPI, inaugura la mostra documentaria “I partigiani raccontano”.
La mostra verrà inaugurata venerdì 12 aprile alle ore 10:00 presso l’Archivio di Stato di Enna (Via Angelo Tranchida c.da S. Lucia Enna). La mostra sarà fruibile fino al 31 maggio 2024 *con i seguenti orari:
da lunedì a venerdì dalle 9:00 alle 13:00
martedì – giovedì dalle 14:00 alle 17:00
Di seguito un articolo pubblicato su Patria Indipendente che presenta “La Memoria ritrovata”, storie di partigiani ennesi.
“Gli elenchi sono un bene assoluto perché dietro ogni nome c’è un volto e dietro a ogni volto una vita. Prezioso in questo senso è il libro “La memoria ritrovata. Storie di partigiani ennesi 1943-45”, di Renzo Pintus, presidente del Comitato provinciale di Enna, edito da Maurizio Vetri. Un volume che racchiude l’elenco dei Comuni della provincia di Enna che hanno dato i natali a chi partecipò alla lotta di Liberazione dal nazifascismo. Donne uomini antifascisti che hanno uno straordinario punto d’incontro con il lavoro di Pintus: “lo spirito di servizio – scrive Vincenzo Calò, coordinatore Anpi dell’Italia Meridionale, nella presentazione del testo – che caratterizza il proprio agire a beneficio delle nuove generazioni”. Ma non è solo un elenco. “Pintus non offre solo il loro ricordo – continua Calò – e li consegna alla memoria di tutti noi, Pintus racconta storie, di azioni pratiche e sentimenti, di scelte morali. Lo racconta senza raccontare, una specie di artificio”.
Prezioso per una serie di ragioni, legate anche alla scelta del titolo. Memoria ritrovata perché, afferma l’autore, “il paradosso dell’uso pubblico della storia nel nostro Paese consiste nella svalutazione, ridimensionamento e perfino denigrazione delle fasi evolutive dell’organizzazione statuale e della organizzazione sociale, come l’Unità d’Italia e la Resistenza, a favore della celebrazione, al recupero e alla valorizzazione delle tante cose buone fatte da Mussolini”.
Questo si lega soprattutto al misconoscimento della presenza e del ruolo svolto dai meridionali nella lotta di Liberazione che, spiega Pintus, “è stata lotta di un intero popolo che si autodetermina senza subire la geografia col peso morto dei localismi”. Consacrando una verità che solo negli ultimi decenni è stata suffragata dalla storiografia e dagli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea. Per esempio, il database dell’Istoreto di Torino ha rivelato che il secondo gruppo per provenienza regionale nelle formazioni partigiane del Piemonte è rappresentato dai siciliani: soldati di leva e ufficiali di carriera presenti nelle caserme, immigrati per ragioni di lavoro che hanno fatto parte delle Squadre di Azione Patriottica e dei Gruppi di Azione Patriottica e, infine, militari sbandati del Regio Esercito che scelgono di restare al Nord a causa degli impedimenti della guerra.
La stessa Torino, una delle tante città liberate prima dell’arrivo delle truppe alleate, vide la sua Liberazione il 28 aprile 1945 grazie al coordinamento delle formazioni Garibaldi, Giustizia e Libertà, Matteotti e Autonome, condotto da Pompeo Colajanni “Barbato”, nisseno di nascita e ennese di radici, ufficiale di complemento di cavalleria durante la seconda guerra mondiale che subito dopo l’8 settembre del 1943 organizzò in Val Po con i suoi soldati, altri ufficiali e civili, una delle prime bande partigiane da cui si sarebbero poi sviluppate, brigate, divisioni e raggruppamenti di divisioni. Barbato, divenuto comandante della VIII Zona (Monferrato) e vicecomandante del Comando militare regionale piemontese, divenne presto leggendario per le imprese delle formazioni al suo comando e per la competenza militare. Il comandante Pompeo Colajanni è stato anche Presidente Onorario dell’Anpi Nazionale, carica ricoperta da un altro protagonista di questa meravigliosa terra del Sud: il partigiano regalbutese Riccardo Lombardi, una delle figure più significative della storia del movimento socialista italiano.
Non c’è borgo rurale o cittadina ennese che non abbia i suoi figli nella Resistenza, come attesta il volume. La loro partecipazione è dispiegata in tutte le formazioni del movimento partigiano: dalle piccole bande alle grandi Divisioni di diverso orientamento politico, li troviamo “in quasi tutti i luoghi simbolo della Resistenza al nazifascismo e del martirio, da Cefalonia alle Fosse Ardeatine, dalle Quattro Giornate di Napoli alla strage di antifascisti di Piazzale Loreto a Milano nel 1944, ai luoghi vergognosi, scandalo estremo della bestialità umana, di Dachau, Mauthausen, Buchenwald, Auschwitz”. Come il valguanerese Raffaele di Rosso di San Secondo a capo di un’omonima formazione a Roma, arrestato e torturato in via Tasso, reso invalido, scampato all’esecuzione il giorno della Liberazione della città e decorato di Medaglia d’Argento VM; o come il piazzese Salvatore Principato appartenente a Giustizia e Libertà con lo pseudonimo di “Socrate”, ucciso a Milano in Piazzale Loreto il 10 agosto 1944.
Solo in questa provincia sono presenti 457 partigiani e circa 10mila in tutta la Sicilia, per un numero destinato a crescere in attesa che l’Archivio centrale dello Stato completi la pubblicazione dei 700mila fascicoli ancora inevasi. Ma non solo per questo motivo. “Spesso mi è capitato di essere invitato a portare la nostra bandiera – spiega nella postfazione Ottavio Terranova, Coordinatore Regionale Anpi Sicilia – ai funerali di partigiani siciliani che avevano espresso, in punto di morte, il loro desiderio di avere al loro funerale solo la bandiera dell’Anpi. Così abbiamo appreso nuove storie che ci vengono raccontate, purtroppo, solo dopo la scomparsa dei loro protagonisti”.
Un libro dunque prezioso “non tanto perché – sottolinea Francesco Amata, storico dell’Università di Catania nella prefazione – il nuovo clima politico che si è affermato in Italia possa determinare un’accoglienza particolarmente ostile verso queste tematiche, quanto perché potrebbe portare nuova linfa vitale e dare nuovo vigore a quella preconcetta scelta di sottovalutazione e discredito che sottende un dissenso politico rispetto ai valori che hanno animato la lotta di Liberazione”.
Per dirla con le parole di Ferruccio Parri, “Non vogliamo che su questa pagina della vita italiana, su questa carica morale si possa stendere un comodo lenzuolo di oblio. Questo no compagni giovani. Ora tocca a voi”.
Mariangela Di Marco, giornalista”