Siamo bigotti: l’Anpi contrasta il presidenzialismo

di Diego Novelli (presidente prov.le ANPI Torino) per nuova società

Con buona pace del mio antico amico e compagno Luciano Violante in merito al suo articolo sul “Corriere” del 16 giugno nel quale invita a respingere «la retorica del bigottismo costituzionale» non nego di appartenere a questa schiera e non mi sento solo.

 

Lo stesso giorno di sabato scorso nella sala del Consiglio Comunale di Marzabotto si è svolto un incontro di tutti i Comitati provinciali e dei Coordinatori regionali dell’Anpi, con il presidente Carlo Smuraglia, per fare il punto sul ruolo dell’Associazione nel momento politico, sociale e morale che stiamo vivendo.

 

Non credo di svelare segreti, tantopiù che l’assemblea era aperta al pubblico e ai giornalisti, circa l’unanime presa di posizione in difesa della Costituzione, in modo particolare fermamente contraria a mutamenti del carattere della nostra Repubblica da Parlamentare a Presidenziale.

L’Anpi non si considera affatto “la vestale” della Carta, tantomeno, per usare il linguaggio di Violante, un’Associazione di «bigotti», fermi nel tempo.

 

È stato ricordato che da un punto di vista formale tutta la nostra Costituzione può essere riscritta in base all’articolo 138, quindi nessun a priori; ma non si capiscono bene le ragioni (o si capiscono fin troppo bene) per cui con una certa frequenza si proponga di mettere mano alla Carta stravolgendola.

 

Aggiornare l’ordinamento non sarebbe uno scandalo anzi, dopo 60 e più anni molte cose sono cambiate (si pensi solo all’Europa, ai vari trattati, alla moneta unica eccetera) ma rovistare e mettere in discussione il carattere e i principi non può essere assolutamente accettato.

 

Dopo lo Statuto Albertino (1848) l’Italia dopo si è data una Costituzione ispirata a tre principi sanciti dalla rivoluzione del 1789, “liberté, egalité, fraternité”.

 

Da uno studio comparato svolto ai tempi della bicamerale De Mita-Iotti, è stato acclarato unanimemente che la nostra Carta Costituzionale rispetto a quelle di tutti i Paesi del mondo occidentale, risulta essere quella più moderna, più nuova, più innovativa.

 

La motivazione addotta dai cosiddetti riformatori (a parte le baggianate di Berlusconi che l’ha definita «bolscevica») consisterebbe nella necessità di dare forme nuove al nostro Stato per ragioni di efficienza, di snellezza, di maggiore rapidità nel momento decisionale. Ecco che spunta fuori (non da oggi, ma dal 1980) il termine decisionismo, per liberarci dei “lacci e lacciuoli”, per garantire, a chi governa, maggiore libertà di azione, senza troppi vincoli, contrappesi e controlli.

 

L’ultima trovata (non nuova per la verità) è quella uscita dal cilindro dell’incantatore per antonomasia (anche se con le piume bagnate) come il rilancio dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, con tutto quello che ne consegue (sul Parlamento, la Corte Costituzionale, la Magistratura) prendendo a pretesto le recenti elezioni in Francia.

 

Berlusconi ha messo in bocca ad Alfano la proposta di un emendamento (sottolineo emendamento) ad un progetto di legge elaborato da una commissione extraparlamentare, riguardante un nuovo sistema elettorale, per introdurre nel nostro ordinamento il Presidenzialismo.

 

Che una proposta di questo tipo venga avanzata con un colpo di teatro dalla coppia Berlusconi-Alfano non ci sorprende affatto: hanno fatto credere e votare a 300 deputati della loro maggioranza che la Ruby-escort era la nipote di Mubarak… Ciò che ci ha un po’ sconcertati invece è l’immediata adesione di alcuni senatori del Partito Democratico a questa idea, i quali hanno anche sostenuto che ci sarebbero i tempi per votarla immediatamente in modo da metterla in esercizio prima della scadenza naturale dell’attuale legislatura.

 

Altrettanto sorprendente è stata la proposta di altri esponenti del Pd (a partire da Violante) di rinviare il tutto al dopo elezioni per ragioni di tempo e per evitare alcuni rischi che comporterebbe ora e subito, «adottando oggi un impegno vincolante per la prossima legislatura». «È però un dovere politico costruire una forma di governo migliore dell’attuale, che è figlia di una diversa condizione politica e internazionale».

 

Quali siano le «diverse condizioni politiche» Violante non lo dice. Noi tutti sappiamo che il governo Berlusconi eletto nel 2008 disponeva di una maggioranza in Parlamento che nessun altro esecutivo ha mai avuto dall’inizio della Repubblica.

 

Come abbiamo ricordato è dal 1980 (governo Craxi) che ci sentiamo dire che bisogna cambiare la Costituzione per avere forme di governo migliori delle attuali. (Se la memoria non ci inganna il primo segnale venne da Giuliano Amato, allora vice di Bettino, con un articolo su “La Repubblica”).

 

Cosa realmente si intende raggiungere? Svuotare un po’ il potere del legislativo per aumentare quello dell’esecutivo? Se si tratta invece di snellire i lavori delle Camere ricordiamo che dal 1997 giacciono nei cassetti di Montecitorio proposte di legge per raggiungere questo obiettivo: la riduzione del 50 per cento degli attuali parlamentari per fare funzionare realmente le Commissioni e rendere i lavori dell’aula non più una recita a soggetto, contribuendo di fatto a ridurre drasticamente la polverizzazione della rappresentanza.

 

Perché la proposta di Veltroni, presentata a nome del suo partito, di portare a 300 il numero dei deputati e a 150 quello dei senatori è stata abbandonata, scegliendo la strada di una ridicola riduzione? (proposta Violante!).

 

Il taglio non va inteso come una concessione all’onda “anticasta”, bensì per dare funzionalità e poteri reali al più importante istituto democratico del Paese, cioè il Parlamento.

 

Non ci vuole molta fantasia per intuire il disegno che sta dietro alla scelta presidenzialista.

 

L’attacco alla Costituzione sferrato negli ultimi anni non è stato mascherato. Ad esempio, un ex ministro (diversamente alto) del governo Berlusconi ha proposto pubblicamente di cambiare anche il primo articolo della Carta, sostituendo «una Repubblica fondata sul lavoro» con la dizione «fondata sul mercato».

 

Anche Tremonti aveva sparato contro alcuni articoli del titolo terzo della Carta riguardanti rapporti economici, che impedirebbero la sviluppo dell’iniziatica privata e quindi dell’imprenditorialità.

 

Anziché porsi l’obiettivo di cambiare la Costituzione «per migliorare la forma di governo» perché il Pd, con tutte le forze democratiche presenti nel Paese non ingaggia una forte battaglia per attuare la nostra Costituzione rimasta praticamente disattesa negli ultimi 60 anni? Oscar Luigi Scalfaro, pochi mesi prima della sua scomparsa, nella sua qualità di Presidente del Comitato Nazionale per la difesa della Costituzione, aveva dichiarato che se si fosse attuato il secondo comma dell’articolo tre della Carta in Italia si sarebbe verificata una vera rivoluzione democratica.

 

Lo ricordiamo: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

 

Ecco perché con gli amici dell’Anpi rappresentanti di tutti i comitati provinciali e regionali a Marzabotto si è ribadita la volontà di tutta l’Associazione di lavorare per sbarrare ogni trasformazione della nostra Repubblica da Parlamentare a Presidenziale. Non temiamo l’accusa di bigottismo.

 

Infine chi fosse interessato ad approfondire le ragioni che hanno indotto i nostri Padri Costituenti a scegliere la forma parlamentare anziché quella presidenziale, consigliamo di leggere gli atti della Commissione dei 75 dell’Assemblea Costituente: il decisionismo attraverso la figura dell’uomo forte comportava troppi rischi per la democrazia.

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